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"ASCOLTANDO SILVANO": dal commento del Cardinale SILVANO PIOVANELLI alle letture della domenica...


9 luglio 2016
Da oggi ancora più...
UNITI NELLA PREGHIERA



... "qualcosa" di prezioso che arriva
alla mente ed al cuore. 

Per tutti...





 Letture da "LaParola.net"
(cliccare sul titolo rosso)


DOMENICA 25 OTTOBRE
Come Bartimeo, grida anche tu!

Marco 
10, 46-52

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e molto folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
PAROLA DEL SIGNORE



L’episodio del mendicante cieco all’uscita da Gerico, così vivacemente descritto da Marco, è come percorso da un bisogno e un desiderio unico: poter vedere. Ma cos’è più importante vedere o udire? Istintivamente sentiamo più compassione davanti ai ciechi che ai sordi. Tanto gli occhi ci sembrano essenziali per la vita.
D’altra parte, la parola”vedere” è spesso usata nel doppio senso, fisico e morale, in conseguenza della “luce” che può essere esteriore e interiore. Dunque, il racconto ci riguarda. Il racconto può essere una metafora della vita. Di tanti di noi.

C’era molta folla. Bartimeo sente pronunciare il nome di Gesù o anche domanda alla gente chi c’è con tutte quelle persone, e, udito che c’era Gesù Nazareno, comincia a gridare: “Figlio di David, Gesù, abbia pietà di me!”. Con quel titolo, figlio di David (in tutti i tre sinottici: Mt 20,30; Lc 18,38), il cieco certamente intende un profeta o un taumaturgo, con in più questo: che Gesù, per via del padre putativo Giuseppe, era realmente della tribù di Giuda e della stirpe di David re (Mt 1,1-16).
Evidentemente, chi ha scritto il Vangelo e chi lo ascolta, arricchisce il titolo del valore messianico.
La gente chiacchiera di Gesù, Bartimeo lo chiama. Molti sgridano questo mendicante per farlo tacere e lui grida ancora più forte. Esce allo scoperto e col suo grido richiama l’attenzione di Gesù.

Qualche volta c’è bisogno di tirarsi fuori dalla folla e superare parole o atteggiamenti che scoraggiano la fede. Qualche volta c’è bisogno di gridare la nostra fiducia nonostante tutto, perché Gesù si fermi dinanzi al nostro bisogno. Il grido è un’invocazione di tutto il nostro essere verso Colui che può farci vedere e camminare.

E Gesù si ferma e dice: “Chiamatelo!”. Noi, uomini di Chiesa, dovremmo essere portatori e interpreti del comando di Gesù [ Chiamatelo! Chiamateli tutti! ]. Invece, siamo pronti e preparati, sì, ad accogliere chi viene, ma di fronte a molti, più che di trasmettere l’invito, sembriamo preoccupati di creare barriere protettive, controllare i documenti, fissare le modalità dell’incontro, stabilire i momenti e le precedenze. Il grido travolge le domande “rituali”, per le quali siamo sufficientemente preparati , e fa saltare le risposte prefabbricate. Aiutaci, Signore, a comprendere il grido, anche il grido silenzioso, che sale dal cuore di tante creature provate dalla vita.

“Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Quel mantello che copre e nasconde e che Bartimeo getta via, non può essere il simbolo di quanto avvolge la nostra vita, coprendo tante realtà che impediscono la fedeltà al Vangelo? retaggi familiari, abitudini inveterate, ignoranza, disattenzione, superficialità, paure, eccetera. Dunque, come Bartimeo, gettare via il mantello delle protezioni umane, delle sottomissioni all’ambiente e delle ricerche egoistiche, per stare in piedi e liberi come discepoli di Gesù e figli del Padre che è nei cieli. Nella liturgia, oggi, risuona per ognuno di noi la parola della Chiesa: Coraggio! Àlzati, ti chiama!

La domanda di Gesù, quasi scontata per il cieco Bartimeo, è importantissima per noi: “Cosa vuoi che io ti faccia? “. Può darsi spesso che noi assomigliamo a Giacomo e Giovanni - ricordi Domenica scorsa? - che chiedono a Gesù un posto di gloria: “sedere uno alla destra e uno alla sinistra” del Messia vittorioso e trionfatore. Corriamo tutti il rischio di guardare la nostra vita e la storia con il paraocchi e quindi accorgerci solo delle cose immediate, di quelle che ci riguardano personalmente, e forse solo dei bisogni e necessità materiali.

La risposta del cieco è immediata: “Rabbuni, che io riabbia la vista! “. E Bartimeo non solo riacquista la vista fisica, ma anche la vista interiore e spirituale e “ritrovare la fede è più che ritrovare la vista” – come è scritto nel monumento che raffigura un cieco a Lourdes, vicino alla basilica. Bartimeo diventò discepolo, se Gesù gli disse: “ Va’, la tua fede ti ha salvato” e lui, subito, riacquistata la vista, prese a seguirlo per la strada.

Anche noi abbiamo bisogno di questo incontro con Gesù, perché il processo di liberazione non è mai finito: i mantelli non finiremo mai di buttarli via! . Senza la fede non balzi in piedi e non vai da Gesù.

Con la fede ti liberi, lasciando che il passato sia passato, consegnando a Cristo i tuoi limiti e le tue debolezze, e ti metti a seguirlo per la strada: non chissà mai quale strada, ma la strada concreta e attuale della tua vita, guidando i tuoi passi sulle orme che Gesù ha lasciato per tutti.

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi.
O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati,
che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto a compassionevole
verso coloro che gemono nell’afflizione e nel pianto, 
ascolta il grido della nostra preghiera:
fa’ che tutti gli uomini riconoscano in Lui la tenerezza del tuo amore di Padre
e si mettano in cammino verso di Te.







............ proseguirà..............

- 17 maggio 2015
DOMENICA ASCENSIONE
E' certo che Dio ti pensa in grande perché ti ama!

Atti1, 1-11     
Mentre altri racconti presentano l’ascensione come l’altra faccia della risurrezione di Cristo, negli Atti degli  Apostoli  Luca ce la presenta come la fine di una tappa del piano di Dio, come segno della presenza perenne di Gesù in mezzo agli uomini, come il tempo nuovo dello Spirito e della Chiesa che porta il Vangelo sino agli ultimi confini del mondo.  Gesù Risorto, che si è mostrato agli Apostoli vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio, cancella l’ingenua aspettativa dei discepoli che aspettavano l’avvento glorioso del Regno di Dio (È questo il tempo nel quale ricostituirai il Regno d’Israele?). Per gli Apostoli  viene pensato qualcosa di più grande: rinunziando alla conoscenza dei tempi  e dei momenti  [Non spetta a voi conoscere tempi o momenti, che il Padre ha riservato al suo potere],  essi saranno arruolati per portare  “la lieta notizia” in tutto il mondo (a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra) e impiegati per la costruzione del Regno   o – come dice l’apostolo Paolo nella seconda lettura – per “edificare il corpo di Cristo”. “Quasi per aprir loro e liberare questo spazio vasto quanto il mondo, scompare la figura visibile di Gesù: il punto  centrale del mondo non è più d’ora in poi là dove Egli è visibile, ma ovunque dovrà arrivare la Chiesa” (von  Balthasar).

Efesini4, 1-13   
Il  brano della lettera agli Efesini illumina il mistero dell’ascensione mostrandone un aspetto nuovo.
Dal carcere, dove è prigioniero a motivo del Signore, l’apostolo Paolo illumina “tutti  sull’attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo”  (Ef 3,9): mistero, che è “il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore”  (Ef.3,11). Prima di tutto l’ascesa di Gesù al cielo non significa affatto che Egli si stacca dai suoi e lascia che la Chiesa agisca da sola: anzi, egli ascese al di sopra di tutti i cieli per essere pienezza di tutte le cose e quindi essere talmente presente in tutti e in tutte le realtà da realizzare in loro il significato del loro “essere”.  Per questo  Egli  ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, allo scopo di preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo. 
La Chiesa – dice Paolo agli Efesini è un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete chiamati, quella della vostra vocazione.  Proprio per questo pregò Gesù, prima di lasciare il cenacolo per andare al Getsemani: “come tu, Padre,  hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo … siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me”  (Gv 17,18.23).

Marco16, 15-20
E disse loro: 
Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura...
Il racconto non è dunque una conclusione, ma piuttosto un principio. Qui, niente finisce. Piuttosto, tutto comincia. Il Signore non abbandona la terra, si fa presente in un altro modo. Raccontano gli Atti (1,9):Fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro occhi”. Ma il Vangelo ci assicura: “Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro(Mc.16,20). Scompare agli occhi dei suoi amici e di quanti vivevano in quel luogo e in quel  tempo,  ma si fa riconoscere e amare da una folla immensa di ogni lingua, popolo, razza e nazione, facendosi sentire vivo ed operante attraverso la parola e le mani dei suoi discepoli e della sua Chiesa.  I suoi discepoli, certo, lo amavano, anche quando non lo intendevano. Ma, fragili come sono fragili gli uomini, si sono sbandati al momento della sua morte. Poi però sono corsi anelanti al suo sepolcro e hanno creduto nella sua risurrezione. E ora eccoli pronti: consapevoli che andrannocome agnelli in mezzo ai lupi, eppure deliberati a “proclamare dai tetti” ciò che è stato detto loro in un orecchio. Ben presto li vedremo muovere per le vie del mondo senza portare con sé “né oro né argento né bisaccia per il viaggio” e, a dispetto di arresti, persecuzioni, martìri, avviare la più imponente rivoluzione spirituale che la storia abbia conosciuto. Non è una vicenda che suscita emozione e meraviglia? E che inoltre può offrirci motivo di speranza di fronte a un tempo che sembra in regresso di Dio?” (Mario Pomilio).


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Gesù ha detto: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”.  Il mistero dell’ascensione fa decollare il tempo della Chiesa: “allora essi partirono e predicarono dappertutto”.
La lettera agli Efesini ti dice: egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri ”.  Nel corpo di Cristo che è la Chiesa ogni membro ha il suo posto e la sua funzione. Hai bisogno di impegnarti a “decollare” ?
Tu sei membro del corpo di Cristo. Qual è il tuo posto? Quale la tua funzione?
Nel corpo di Cristo, sei  un membro paralizzato? Un membro inattivo?  Cos’è che limita la tua attività, dal momento che Dio, il quale  è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti ?
Non dimenticare che  la reazione giusta al grande mistero dell’ascensione è  l’obbedienza della fedeallora essi partirono e predicarono dappertutto.
Dunque:  credere e partire.  Ricordando che quel dappertutto  segnala che ci sono situazioni, persone,
ambienti, che sono a contatto con la tua vita e per i quali il Signore ha pensato a te. Non deluderLo.





- 10 maggio 2015


- 3 maggio 2015


- 26 aprile 2015


- 19 aprile 2015


- 12 aprile 2015


- 5 aprile 2015
PASQUA
mille volte  BUONA PASQUA !

Atti10, 34.37-43 

Colossesi3, 1-4 

Giovanni20, 1-9




- 29 marzo 2015
Domenica  delle Palme b 
Fino a che punto Gesù  ti ha amato !

Isaia 50, 4-7 

Filippesi 2, 6-11 

Marco 11, 1-10




- 22 marzo 2015
Quaresima V b
Nel concreto delle nostre situazioni la sofferenza diventa la suprema lezione di vita

Geremia 31, 31-34
La pagina di Geremia è uno dei vertici dell’Antico Testamento: il profeta arditamente propone il superamento dell’antico Patto sinaitico per una nuova Alleanza col Signore.
L’alleanza conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, è stata violata: il popolo non è rimasto fedele. Le dieci parole incise sulla pietra indicavano il cammino della vita come la segnaletica stradale indica la direzione da seguire, ma non comunicavano l’energia per raggiungere la mèta. Aveva già detto il profeta Geremia: “Lo so, Signore, l’uomo non è padrone della sua via, chi cammina non è in grado di dirigere i suoi passi” (Ger 10,23).
... viene proclamata la certezza che verranno i giorni di un’alleanza nuova su iniziativa di Dio (io concluderò una alleanza nuova). Una alleanza nuova, perché scritta non sulla pietra, ma sul loro cuore. Dio non si limita a dare disposizioni e prescrivere comportamenti. Dio interviene direttamente sul cuore: “Darò loro un cuore per conoscermi, perché io sono il Signore; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, se torneranno a me con tutto il cuore” (Ger 24,7). Il profeta Ezechiele confermerà questa linea di Dio: “Vi darò un cuore nuovo,metterò dentro di voi uno spirito nuovo. Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne (Ez 36,26).
Allora ognuno comprenderà dal di dentro (tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande); per nessuno sarà indispensabile imparare dall’aiuto degli altri (non dovranno più istruirsi gli uni gli altri), perché tutti impareranno a riconoscere che Dio è amore, amore che assicura il genuino latte spirituale, grazie al quale voi - come bambini appena nati - possiate crescere verso la salvezza (1 Pt 2,2). La condizione unica e necessaria è che il cuore si apra all’amore di Dio, come dice anche la prima lettera di Pietro : “se davvero avete gustato che buono è il Signore” (1 Pt,2,3). 

Ebrei 5, 7-9 
La lettera gli Ebrei, in solo tre versetti (5,7.8.9), ci presenta un trattato cristologico in miniatura. La passione è presentata secondo la categoria del sacrificio, un’ offerta sofferta, sostenuta da una adesione profonda alla volontà del Padre: per il suo pieno abbandono a Lui, venne esaudito. L’autore richiama i giorni della sua vita terrena, in modo specifico la passione di Gesù, nel giardino dell’agonia e sul Calvario.  “Preghiere e suppliche, forti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo dalla morte”, evocano immediatamente il Getsemani con Gesù che soffre “tristezza e angoscia(Mt.26,37) e il sudore come “gocce di sangue che cadono a terra(Lc.22,44); evocano il “forte grido” dalla croce (Mc.15,37), nonché il suo pieno abbandono a Dio che poteva salvarlo dalla morte, che si è espresso sul Calvario nel grido “a gran voce”: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito(Lc.23,46) e l’ultimo sospiro nell’atto di riconsegnarsi al Padre: “Tutto è compiuto(Gv.19,30).
L’obbedienzapur essendo Figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì – ci rimanda all’immagine dell’agnello che non apre bocca e si lascia condurre al macello (Is.53, 7) e allo splendido inno della lettera ai Filippesi (2,7-8): “dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.  Gesù non va verso la morte come ci va “un Dio”, sapendo che la morte non lo tocca. Egli ci si cala dentro e capisce la morte più di noi, perché è capace di comprenderne tutto il negativo: ecco la ragione per cui ha paura di morire, rifiuta la morte, piange, grida. Gesù è entrato nella morte con l’amore, precipitando nelle tenebre del negativo per far lievitare dentro il negativo la luce dell’amore, cioè la vita. 
C’è un aspetto pedagogico nella sofferenza. Dice infatti, con mirabile intuizione, l’autore della lettera agli Ebrei, pur essendo Figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì. Nel testo greco c’è una singolare assonanza, impossibile a riprodursi in italiano, tra i due verbi: émathen=”imparò” ed épathen=”soffrì”. Soffrendo s’impara.  

Giovanni 12, 20-33
La pagina del Vangelo di Giovanni ci aiuta a comprendere un termine fondamentale del suo vocabolario teologico: l’Ora. L’espressione, che indica il mistero della sua morte e risurrezione come il compimento della sua missione, ricorre più volte in Giovanni:
- “ Non è ancora giunta la mia ora , dice Gesù alle nozze di Cana (2,4);
- “ Nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora(7,30);
- “ Nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora(8,20);
- “ E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato(12, 23);
- “ Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora (12, 27)
- “ Gesù sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre(13,1)
- “ Padre, è venuta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te(17,1)
L’espressione – la mia ora –, che nel brano odierno ricorre due volte, è precisata –  come ci dice il biblista Card. Gianfranco Ravasi –  da sette dichiarazioni o immagini:
-          il simbolo del chicco di grano: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Gesù parla della sua morte e dichiara la incredibile condizione per essere “produttivi”: la morte. La parola centrale, tuttavia, non è “morire”, ma porta molto frutto.
-          Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”; amare, cioè essere attaccati egoisticamente alla vita; odiare, cioè mettere al di sopra della propria vita la volontà di Dio e il bene dei fratelli.
-          È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”: la glorificazione è il termine più frequente per indicare, nel Vangelo di Giovanni, la Pasqua del Cristo.
-          Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”: la elevazione/esaltazione della Croce è la forza che attrae a Cristo l’umanità intera.
-          Venne allora una voce dal cielo”: segno di una teofania, sottolineata anche dal tuono, per dirci che l’Ora di Gesù è la più grande rivelazione di Dio all’uomo e “questa voce è venuta per voi”.
-          Ora è il giudizio di questo mondo”: sulla croce sembra che il male abbia vinto, invece con la croce il male è stato sconfitto nel modo più radicale, con un giudizio definitivo.
-          Gesù “diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”: una morte che non è precipitare nel baratro del nulla, ma una morte che è “passaggio” –“pasqua”– verso la gloria della divinità (“quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono(8,28).


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Hai fatto anche tu l’esperienza interiore di non essere padrone della tua via e di non essere in grado di dirigere i tuoi passi? Perché, allora, non chiedere un cuore nuovo, che ci permetta di conoscere il Signore e quindi di scoprire che siamo amati da sempre e senza limite?

... aprirsi nella fede e nell’amore, per imparare nel concreto delle nostre situazioni che le sofferenze sono la suprema lezione della vita.
Hai già fatto questa esperienza?  L’hai verificata in qualche persona di tua conoscenza?
Cosa fare per essere sempre più abbandonato a Lui e per vivere ogni momento imparando l’obbedienza perfetta del Figlio?
Anche tu, un chicco di grano: per produrre molto frutto, cadere in terra ed essere ricoperto e morire diventa condizione imprescindibile. La proposta che Gesù fa a chiunque voglia vederlo è sconcertante, ma in Lui puoi contemplare pienamente realizzata la vita consumata per amore. Vuoi domandare il coraggio di farti seminare dove e come Lui vuole, con l’unica preoccupazione di essere e diventare in modo sempre più pieno un dono di amore, un gesto gratuito di attenzione?
Guardando l’immagine classica di San Francesco di Assisi che Gesù Crocifisso dalla croce attira a sé, qualche volta mi è capitato di desiderare ardentemente di essere così attirato e abbracciato dal Crocifisso. Ma devo chiedergli perdono di non essermi accorto di tutte quelle volte che Gesù effettivamente mi attirava a sé sulla croce. Di più: devo domandare la sua misericordia per quelle volte che, essendomi accorto della croce, ho accuratamente cercato di evitarla e come il chicco di grano che, caduto in terra, non muore, sono rimasto solo, senza i frutti previsti dal disegno dell’amore di Dio.
... Per tante altre cose possiamo aver maestri di ogni genere. Per la politica, la scienza, la letteratura, quanti maestri ci sono! Ma quando entriamo nell’ombra della morte non c’è nessun maestro perché tutte le voci tacciono. Allora noi impariamo, nell’obbedienza, cosa significhi amare Dio, obbedire alla sua volontà. Solo l’esperienza del dolore, del negativo, ci introduce nell’ascolto docile di un amore che non ha parole e concetti adatti alla piazza pubblica della storia che viviamo. In quell’ombra Qualcuno ci attende. Vorrei dirlo a me, a voi, perché quando viene l’ora – ripeto le parole del Vangelo – non ce ne dimentichiamo” (P. Ernesto Balducci, Il mandorlo e il fuoco, Borla 1981).





- 15 marzo 2015
Quaresima IV b
NON PUOI VANTARTI DI NULLA. PUOI SOLO RINGRAZIARE DI TUTTO.

Gli Israeliti ritenevano che, nell’oltretomba, al giusto e al peccatore fosse riservata la stessa sorte: divenire “ombre”, che vagano in un luogo di silenzio, di tenebre e senza gioia. Come canta il salmo 88: “Compi forse prodigi per i morti? O si alzano le ombre a darti lode? Si narra forse la tua bontà nel sepolcro, la tua fedeltà nel regno della morte? Si conoscono forse nelle tenebre i tuoi prodigi, la tua giustizia nella terra dell’oblio?“. Per questo consideravano il bene e il male, i successi e le sventure di questa vita come segni sicuri della benedizione o del castigo di Dio.
Di fatto il libro delle Cronache, caratterizzato da una mentalità legalista, lascia già intravedere una nuova forma di peccato, contro la quale Cristo, manifestazione della misericordia divina, si leverà con violenza. Il peccato consiste nel farsi la coscienza di poter acquisire meriti e diritti dinanzi a Dio con l’osservanza meticolosa della Legge.

La lettera agli Efesini ci presenta Paolo, l’antico fariseo ossessionato dalla necessità di sottomettersi alla Legge per meritare la salvezza, il quale ha scoperto il dono della misericordia offerto da Dio ai peccatori. 
Ma, pur diventato persecutore a causa della chiusura del suo cuore, ha fatto la sconvolgente esperienza del perdono immeritato. Afferrato ormai dall’illuminazione della divina bontà, egli sa che questa è la via vera che l’amore ha gratuitamente riaperto. E’ la stupenda Buona Notizia – il Vangelo – che egli non smette mai di meditare e proclamare ai cristiani.
La salvezza non è il premio delle nostre buone azioni.  La salvezza è dono completamente gratuito del Padre, per cui nessuno può vantarsi del bene che ritrova in sé, né tanto meno, può disprezzare chi, purtroppo, non ha ancora aperto il proprio cuore a tanta grazia.
E’ soltanto la grazia – il dono della vita di Dio – che strappa l’uomo dal male, di suo inguaribile, che è il peccato e lo trasforma in creatura nuova, facendone un “risuscitato”. Dobbiamo riconoscere con gioia che davvero siamo “opera sua”.
Se è vero che non è l’uomo a salvarsi mediante le proprie opere buone, è però altrettanto vero che queste costituiscono la risposta necessaria all’amore di Dio: sono il segno che la grazia del Signore è stata accolta e ha cominciato a produrre i suoi frutti.
Hans Urs von Balthasar suggerisce: “non diventiamo automaticamente partecipi della vita eterna, ma dobbiamo appropriarci di questo dono che Dio ci fa mediante le nostre “opere buone”. Ora anche queste “opere buone” non abbiamo bisogno di ricercarle faticosamente; significa che Dio “le ha preparate perché in esse camminassimo”. Mediante la nostra coscienza, mediante la sua rivelazione, mediante la sua Chiesa, mediante i nostri prossimi, Dio ci insegna come dobbiamo rispondere al suo amore. Può essere che l’esecuzione di queste opere buone preparate in anticipo ci costi qualcosa, ma dobbiamo crescere nella consapevolezza che il richiesto superamento di noi è un’altra grazia dell’amore di Dio e perciò l’azione può essere fatta in pace e gratitudine” (Hans Urs von Balthasar, Luce della parola, PIEMME 1990).


Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna(Gv.3,16).
Ad Abramo è richiesto di sacrificare il figlio unico Isacco, ma un angelo gli ferma la mano armata di coltello prima che immoli il figlio: Dio si è accontentato dell’obbedienza interiore di Abramo.
Il Padre che sta nei cieli va oltre, va fino in fondo: perché gli uomini comprendano fino a qual punto Dio li ama, “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi(Rom.8,32). Parecchi interpreti ritengono questo versetto del Vangelo di Giovanni come il cuore di tutto il Vangelo. Solitamente l’amore di Dio è dichiarato per i discepoli (“Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Dio che ha amato noi … se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri: 1Gv.4,9.11). E’ questa l’unica volta che in Giovanni l’amore di Dio viene mostrato nel suo espandersi universale e nell’abbracciare l’umanità intera. 
Dio non ama l’uomo perché l’uomo è buono, perché l’uomo è pentito, ma ama l’uomo anche quando è peccatore, egoista, malvagio: lo ama, perché si converta e viva. La salvezza è un dono. Non si conquista. Semplicemente, si accoglie.
In Gesù risplende luminosamente questo folle amore di Dio: Egli, infatti, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine(Gv.13,1); “umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte e a una morte di croce(Fil.2,8); e dalla croce diceva: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno(Lc.23,34).
Tutta la questione è se noi accettiamo questo amore, così che esso possa entrare nella nostra vita e dimostrarsi in noi efficace e fecondo, oppure se ci nascondiamo dinanzi alla sua luce nelle nostre tenebre e così odiamo la luce, affermiamo il nostro egoismo, neghiamo l’amore: in questo modo siamo già condannati. Viene in mente subito il Via, lontano da me , maledetti, nel fuoco eterno” di Matteo 25,41. Non è Dio a separarci da lui o a volere direttamente la nostra morte. Siamo noi che, non credendo, “odiamo la luce”, rifiutiamo il vero amore, e rimaniamo schiavi di noi stessi, ciechi e paralizzati dentro. Non è forse vero che se uno chiude gli occhi dinanzi alla luce, rimane al buio? Eccoci già “giudicati” e “condannati”. Ma non da Dio, bensì da noi stessi. Noi stessi, chiudendo gli occhi, ci mettiamo al buio.
Questo Dio, che si manifesta pienamente nel Cristo Gesù, ci mette con le spalle al muro. Dinanzi a un Dio giudice severo e distante potremmo dire qualche parola, trovare qualche scusa, portare qualche attenuante. Ma dinanzi a questo amore “sino alla fine, che quasi ci perseguita con la sua misericordia, non possiamo fuggire, non ci rimane che arrenderci. E rispondere a questo Amore infinito, che senza scoraggiarsi, con pazienza infinita, continua a bussare alla nostra porta.
È come una lotta ingaggiata da Dio con quella parte di noi, che resiste alla grazia. 


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L’uomo dimentica e tradisce. Dio è fedele, per sempre. L’uomo volta le spalle, ma Dio apre le braccia e non si stanca di aspettare. Anzi prepara i suoi interventi adoperando persone e circostanze impreviste. Domanda di credere di più all’Amore, ad un Amore che non si dà mai per vinto.

Tutto quello che di vero, di buono, di giusto, di bello e di santo – piccolo o grande che sia – tu trovi in te, è dono che viene dall’alto, è opera di Colui che ti ama. Non puoi vantarti di nulla. Puoi solo ringraziare di tutto

Eviti con ogni cura il giudizio e il disprezzo per chi ha avuto meno di te oppure vive un’esperienza con tempi di maturazione diversi dai tuoi?

Leggi lentamente, quasi ascoltandoti, le parole che, nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice a Nicodemo, dice a te e dice ad ogni uomo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna (Gv.3,16).
Ascolta anche quello che scrisse l’apostolo Paolo ai Romani, diversi anni prima che l’evangelista mettesse in scritto il suo Vangelo; è la parte finale del capitolo ottavo (Rom 8,28-37): “Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno.  Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito fra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati. Che diremo dunque di queste cose? se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!  Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?  Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a Colui che ci ha amati”.   (Rom.8, 28-37)




- 8 marzo 2015
Quaresima III b
Quello che Dio ti domanda con la sua Parola
è per te  un peso da portare
o un'ala che ti fa volare alto ?

L’esodo, col quale Dio strappa il suo popolo alla schiavitù d’Egitto, non è soltanto liberazione da una schiavitù sociale e politica. L’esodo segna una rottura con un mondo caratterizzato dal peccato dell’uomo, un mondo in cui domina il diritto del più forte.
Per questo il popolo che esce dall’Egitto deve rinunciare ad una cultura e ad un costume in cui l’uomo afferma la sua propria volontà e deve sottomettersi a Dio: ecco la Legge.  Il Decalogo non schiaccia l’uomo, ma definisce la condizione dell’uomo rinnovato da Dio: grazie alle Dieci Parole l’uomo può entrare in una giusta relazione col suo Signore e i suoi fratelli. Esse portano la vera vita. Rigettarle è lasciarsi chiudere nel cerchio del male e programmare la propria rovina.
Le Dieci Parole, che portano in evidenza quale è la richiesta di Dio e quale deve essere la risposta dell’uomo sono articolate lungo due direttrici, l’una verticale (uomo-Dio) e l’altra orizzontale (uomo-uomo). Due linee che si incrociano proprio nel cuore, cioè nella coscienza dell’uomo e gli impediscono di “tornare indietro”, alla schiavitù dell’Egitto.
La prima parola, detta anche comandamento principale (Es.20, 2-6), è la base e il sostegno delle altre nove. Dio si lega ad un impegno, il dono della libertà, che continuerà ad offrire all’uomo, come un giorno l’ha offerto ad Israele, facendolo uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile. Israele risponde con l’adesione di una fede pura (non avrai altri dèi di fronte a me), non magica (ecco il rifiuto delle immagini, essendo il volto del fratello la vera immagine di Dio: Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò: Gen.1, 27).


La comunità cristiana di Corinto è divisa in fazioni ed ognuna si vanta di avere un suo autorevole punto di riferimento (“Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “Io invece di Cefa”, “ E io di Cristo”: 1Cor.1, 12). L’Apostolo Paolo protesta con forza (“E’ forse diviso il Cristo?”: 1Cor.1,13).   
Il vero Dio distrugge queste costruzioni umane e si rivela in una maniera che non solo si distingue dai nostri pensieri, ma contraddice i nostri desideri e i nostri umani progetti. Dio si manifesta in Gesù crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani. Chi lo comprende e ne tira le conseguenze scopre la vera sapienza, ben diversa dalla sapienza vana e falsa con cui si pavoneggiano gli uomini.
Il cristianesimo contraddice sia coloro che, come i Giudei, vogliono una religione basata su indici di garanzia precisi (“Quale segno ci mostri per fare queste cose ? ”), sia quanti, come i pagani, vogliono una salvezza che si appoggia ad una sapienza scientifica e razionale.
Dunque, al centro della spiritualità cristiana c’è il Cristo crocifisso, nostra sapienza e nostra forza. 
il proprio impegno spirituale va verificato non tanto su un modello di santo, ma su Dio stesso.
I santi sono modelli in quanto e nella misura in cui riflettono Gesù Cristo, del quale diciamo nella liturgia: “Tu solo il Santo”.

Del resto, nel discorso della montagna, Gesù ha detto ai suoi discepoli: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste(Mt 5,48).

L’episodio dei mercanti del tempio è uno degli episodi più conosciuti della vita di Gesù.
Raccontato da tutti e quattro gli evangelisti, è stato illustrato da numerosissimi pittori.
Che scena straordinaria! Che bella collera! Cristo rifiuta il nostro interessato rapporto con Dio: non è il luogo sacro che conta, non è il numero dei riti che realizza la comunione con Dio.    
Cristo non se la prende con i commercianti come tali, né li accusa di essere disonesti. Li accusa di non rispettare quel luogo come la casa di Dio.
Il perché di questa sorprendente iniziativa si trova nelle parole con cui Gesù accompagna il gesto: il profeta Zaccaria aveva detto: In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti(Zac 14,21), mentre voi fate della casa del Padre mio un mercato!
Così Gesù ha pronunciato la sua condanna, severa, inappellabile, contro ogni commistione tra religione e denaro, fra culto e interessi economici.  Per evitare pericolosi equivoci Gesù ha ingiunto ai discepoli: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento (Mt 10, 9-10).

Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere. Non il tempio di Gerusalemme, che sarà definitivamente distrutto alcuni anni più tardi, ma il tempio del suo corpo. L’evangelista lo sottolinea con cura: “egli parlava del tempio del suo corpo”.

Il brano evangelico si chiude con una informazione sorprendente: Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome.  Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che è nell’uomo.  La ragione di questo atteggiamento distaccato di Gesù sta nel fatto che i molti segni da lui compiuti a Gerusalemme hanno suscitato la fede in Gesù taumaturgo, ma non hanno fatto scoccare nel cuore quella fede profonda che consiste nell’adesione personale, totale, incondizionata al Figlio di Dio. Ecco perché Gesù, non si fidava di loro. 
Anche oggi Gesù non si fida di chi lo cerca solo come operatore di miracoli. Questa fede non è sufficiente per scoprire e accettare il mistero del Figlio di Dio e la sua rivelazione dell’amore del Padre celeste. 


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I Dieci Comandamenti [Le Dieci Parole] sono considerati un peso ed una limitazione della tua libertà oppure una difesa,una garanzia ed una promozione della tua dignità umana? Sono una catena oppure un’ala?

Nella tua spiritualità e nel tuo apostolato prevalgono le devozioni, la ricerca di prodigi e rivelazioni, la memoria di santi o beati, oppure la memoria viva di Gesù Cristo, nostra sapienza e nostra forza, e la parola del suo Vangelo, con l’impegno di scoprire lo straordinario di Dio nell’ordinario della tua vita?

La parola di Gesù ai discepoli “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” viene tradotta in qualche modo nella concretezza dei tuoi rapporti con gli altri e nell’impegno e nel servizio che ti è richiesto?

C’è in te l’impegno a tenerti libero da ogni interesse di mercato nel tuo rapporto con Dio e con i fratelli?   

Gesù, che conosce tutti in modo diretto e profondo, si può fidare di te?




- 1 marzo 2015
Quaresima II b
Facendo memoria ammirata e commossa 
di Dietrich Bonhoeffer

Genesi 22, 1-2.9.10-13.15-18
La prima lettura di oggi con la pagina del libro della Genesi ci presenta il racconto del sacrificio di Isacco: racconto a prima vista strano (perché gli domanda di sacrificare il figlio, prima promesso e poi donato?) ed anche scandaloso (la orrenda richiesta di un sacrificio umano!), racconto che traduce il momento più alto della fede di Abramo un’esperienza umana fondamentale: credere alla fedeltà amorosa di Dio, sperando contro ogni speranza.
Attraverso questa prova terribile, egli ritrova come rinnovato dono di Dio colui che, per obbedire a Dio, aveva creduto di perdere. E’ per questo che il Signore apre veramente l’avvenire a colui che aveva veramente creduto: aveva creduto senza capire, ad occhi chiusi.
Per gli ebrei il sacrificio di Abramo è a ragione un punto supremo del loro rapporto con Dio, ed essi affermano che è un sacrificio doppio: del padre che estrae il suo coltello, e del figlio che è d’accordo con la sua immolazione.
Il filosofo danese Kierkegaard dice che il terribile e silenzioso cammino di tre giorni (v.4) affrontato da Abramo verso la vetta della sua prova è il paradigma [il modello tipico] di ogni itinerario di fede. E’ un percorso oscuro, combattuto, accompagnato solo da quel comando implacabile: “Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio che ami e offrilo in olocausto(v.2). Poi il silenzio. Silenzio di Dio (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?“). Silenzio di Abramo, silenzio del figlio che solo una volta, con un’ingenuità straziante, intesse un dialogo fortemente marcato dal contrasto affettivo: Isacco si rivolse al padre e disse: “Padre mio!”. “Eccomi, figlio mio!”. “Dov’è l’agnello per l’olocausto?”.  E Abramo: “Dio stesso provvederà…figlio mio (vv.7-8).

Come Abramo ogni credente è chiamato a mantenere salda la sua fede, anche in situazioni che potrebbero sembrare assurde: siamo impegnati a credere nonostante tutto, perché Dio, alla fine, non ci deluderà.

A metà della sua lettera, l’apostolo Paolo, dopo aver considerato il progetto che Dio intende realizzare non può fare a meno di gridare tutta la sua gioia: se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Le parole “Dio … non ha risparmiato il proprio Figlio “ richiamano la storia drammatica di Abramo, che credette, saldo nella speranza contro ogni speranza e che non vacillò nella fede, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento (Rom 4)
Abramo – il quale non ha realmente attuato l’immolazione del figlio Isacco, che però aveva già accettato nel suo proposito e nel suo interiore – è immagine prefigurativa di Dio Padre, che realmente ha donato il proprio Figlio per amore degli uomini.  Il massimo, qui, è l’unità perfetta fra l’obbedienza del Figlio ad andare alla morte per tutti (“obbediente fino alla morte e a una morte di croce”: Fil.2,8) e l’incredibile amore del Padre per tutti gli uomini: “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito(Gv.3,16).
Dio che non volle il sacrificio di Isacco per sé, ha voluto il sacrificio del Figlio per noi. A questo incredibile Amore è ancorata la vita di ogni credente: “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a Lui? ”.
Dio sta talmente dalla nostra parte che ogni accusa contro di noi perde tutta la sua forza. Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto?
Il Figlio donato da Dio è un avvocato così irresistibile che ogni umana accusa contro di noi ammutolisce. 
La breve lettura odierna ha una dichiarazione che ti lascia senza parole: l’amore del Padre è definitivo e gratuito e non può essere cancellato da nessun peccato. L’amore di Dio è più forte di qualunque peccato.


Marco 9, 2-10 
L’episodio della trasfigurazione, che leggiamo nel testo di Marco, è strutturato sul modello delle teofanie veterotestamentarie (il monte, la voce, la nube, lo splendore del bianco delle vesti, i personaggi celesti simboli della legge e della profezia)
Dice Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus: bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria(Lc.24,26).

Il cammino della Quaresima verso la Pasqua di morte e di risurrezione è il simbolo del cammino di ogni vita verso la ineliminabile esperienza della morte (a cominciare dalla morte a noi stessi nella vita di tutti giorni e di tutti i momenti) con la fede certa della vita piena oltre la morte.

 Li condusse su un monte alto, in disparte, loro soli” 
- Il monte di Abramo  “un monte che io ti indicherò” “nel territorio di Moria
- Il monte della trasfigurazione è indicato dalla tradizione come il monte Tabor, anche se i vangeli dicono soltanto “un monte” o, come Marco, “un alto monte”.
Le parole sembrano indicarci lo sforzo del salire, il coraggio di staccarci un poco dalla pianura, la scelta di un luogo e un tempo di solitudine, di raccoglimento e di silenzio
- Considera l’ingenuo intervento di Pietro: “Rabbì, è bello per noi essere qui, facciamo tre capanne…Pietro ci rappresenta tutti: è così spontaneo desiderare la vetta senza la fatica dell’ascesa, la vittoria senza la fatica del combattimento, la vita piena e gioiosa senza il tunnel della sofferenza.
Essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi cosa volesse dire risorgere dai morti”: la fede non elimina le domande; è mantenendo aperte le domande nella luce della fede che l’uomo avanza nel mistero dell’intimità di Dio.
Dietrich Bonhoeffer ha vissuto la sua interminabile notte nel carcere di Tegel, a Berlino, imprigionato per la sua resistenza al nazismo. Gli ha dato gioia e forza la frase di San Paolo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? ”.
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Pensa ad Abramo che “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza(Rom 4,18) e domandati : sono disposto a camminare sulla medesima strada, rimanendo saldo nella speranza anche quando sembra che Dio si sia dimenticato di me o addirittura quando sembra accanirsi a chiudere le strade e moltiplicare le difficoltà?

Se proprio per noi il Padre ha consegnato suo Figlio, non ritieni che in Lui è compreso ogni altro dono e ogni altro dono, in sé, sarà sempre infinitamente meno?  Ma allora, il tuo rapporto con Dio non dovrebbe essere caratterizzato dallo stupore e dal ringraziamento commosso?
Se vivi nella scelta che il Signore ha fatto per te, di che cosa dovresti aver paura?

 Gesù continua a condurre i suoi discepoli in disparte, su un alto monte di preghiera. C’è, nella tua giornata e nella tua settimana, questo momento che tu vivi in disparte, in disparte dagli uomini, alla presenza del Signore?
Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo! “.  La voce di Dio Padre non dice altro alla Chiesa e a ciascuno di noi. Qui è tutta la sapienza della vita cristiana, il segreto della santità autentica, la misteriosa sorgente della gioia. E il dono più prezioso che tu puoi offrire agli altri.
Nella tua vita c’è questa impostazione di fondo? è questa la bussola che segna il cammino delle tue giornate? 
Può darsi che anche per noi la Pasqua sia un mistero che interroga la nostra intelligenza e la nostra vita, come del resto successe ai discepoli di Gesù che si chiedevano cosa volesse dire risorgere dai morti.
Cosa puoi fare, perché la Pasqua non sia soltanto un avvenimento della storia, ma una realtà interiore che illumina la tua esistenza quotidiana e sollecita una risposta crescente di amore? 
La fede non elimina le domande. 
Cerca risposte nella riflessione personale illuminata dalla Parola, nell’impegno di una vita comunitaria che diventi anche condivisione di problemi e di cammini comuni , nel confronto e nell’ascolto semplice con un sacerdote o qualche persona saggia e credente, a cui puoi spalancare la tua coscienza.




- 22 febbraio 2015
Quaresima I b
Se il tempo è compiuto,
tu non devi più aspettare:
è Dio che aspetta te!

La Quaresima è il tempo della grande convocazione di tutto il popolo di Dio, affinché si lasci purificare e santificare dal suo Salvatore. La quaresima inizia col mercoledì delle ceneri e ci conduce fino alla Settimana Santa o, precisamente, fino al Triduo Pasquale.
Un tempo significativo di tutta la vita cristiana, che, come vita battesimale, è chiamata a realizzare un’accettazione sempre più profonda e un’espressione sempre più chiara del dono ricevuto col Battesimo. Se questo sacramento ti ha fatto figlio,  come cristiano sei impegnato a vivere sempre più come figlio, imitando  il Figlio unigenito che il Padre, nel suo sconfinato amore per noi, ha mandato appositamente nel mondo.
Questo tempo di conversione, segno sacramentale della continua conversione della intera nostra vita, inizia col mercoledì delle ceneri, cosiddetto perché riceviamo il simbolo austero delle ceneri. Questo rito avviene dopo l’ascolto della parola di Dio che ci chiama a ritornare a Dio con tutto il cuore e a non accogliere invano la grazia di Dio, ma a viverla nella verità di un autentico impegno interiore. Le formule che accompagnano l’imposizione delle ceneri sono due. La più antica –  “ricordati che sei polvere e in polvere tornerai – sottolinea i limiti e la precarietà della vita umana ferita dal peccato. La seconda formula presenta chiaramente il cammino da percorrere nella luce della parola di Dio: “convertitevi e credete al Vangelo”.
Scriveva don Divo Barsotti (“Il mistero cristiano nell’anno liturgico”), “l’uomo è uomo perché è un  animale ragionevole, ma è cristiano perché è penitente”. La Quaresima con l’avvertimento prezioso del mercoledì delle ceneri  ci avvia sulla strada della vera umanizzazione, che è il sogno di Dio creatore dell’uomo, cioè, che noi diventiamo sua immagine e somiglianza.
Per camminare su questa strada sono indispensabili due passi: uno spazio di silenzio che realizzi per te un deserto che ti aiuti a pregare e una sobrietà di vita che ti permetta di condividere. Nella nostra attuale civiltà ognuno ha un bisogno tremendo di spazi di silenzio per scendere nel suo profondo e accorgersi di Colui che è più intimo a noi del nostro intimo. Il silenzio e la Parola di Dio  ti faranno scoprire che è possibile ascoltare Dio che continua a parlare al cuore dell’uomo e che è possibile parlare a Lui con quella fiducia che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli. Non potresti, allora, magari rubando un po’ di tempo alla televisione, in Quaresima, trovare un tempo, da te solo o – sarebbe bellissimo! – in famiglia, per leggere, per esempio al venerdì, al sabato, le letture della Domenica seguente?
Siamo sicuramente in tempi di crisi economica, ma forse ancora non riusciamo a dare un  regime di sobrietà alla nostra vita. A parte i giorni in cui la Chiesa domanda il digiuno (cioè il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo) e i venerdì di quaresima quando è richiesta l’astinenza dalle carni, non potremmo praticare una maggiore sobrietà  e giovarci di questo per aiutare qualcuno che è più povero di noi?  E’ facile avere anche in parrocchia indicazioni per far giungere un aiuto a persone e popolazioni che col loro bisogno denunciamo severamente i nostri sovrappiù nel cibo e nello stile di vita.
Per garantire l’autenticità del tuo cammino di discepolo, ti consiglio di aggiungere al dono di cose tue il dono di te stesso: per esempio andando a trovare qualche malato o qualche persona anziana, per regalare un po’ di affetto e di compagnia a persone sole. Faresti l’esperienza straordinaria che è più, assai più, quello che ricevi di quello che dai.
La preghiera e la lettura della parola di Dio, il digiuno/sobrietà nel cibo e nel regime di vita, la solidarietà e la condivisione con poveri e sofferenti scavano dentro di te una capacità sempre più profonda di ricevere il dono di Dio. Tu vieni riempito nella misura del vuoto che hai realizzato.
“L’Amore di Dio per te è il bacio di Colui che perdona”, scrive don Barsotti. L’impegno quaresimale  dilata le tue capacità di accoglienza di questo dono dell’amore di Dio. Il sacramento della Riconciliazione, ben preparato e ben celebrato, porterà in te il dono inesprimibile della gioia pasquale e farà crescere il desiderio di contagiarne anche gli altri.
 Il silenzio, la riflessione, la contemplazione sono così importanti per l’uomo che non mancano laici e agnostici che ne denunciano l’importanza. Come Alberto Moravia: “Per ritrovare un’idea dell’uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione. La contemplazione è la diga che fa risalire l’acqua nel bacino. Essa permette agli uomini di accumulare di nuovo l’energia di cui l’azione li ha privati”.

Buona Quaresima per te e per coloro che ti sono cari!

Genesi 9, 8-15
I popoli della Mesopotamia dovevano la prosperità a due grandi fiumi, il Tigri e l’Eufrate, eppure ne temevano le acque che, da sorgenti di vita, spesso si trasformavano in agenti di distruzione e di morte.
Nelle tradizioni mitiche dell’antico Medio Oriente è presente ovunque il ricordo delle grandi acque che, in tempi remoti, avrebbero sommerso la terra. I geofisici assicurano che, sette o ottomila anni fa, lo scioglimento dei ghiacciai provocò l’innalzamento delle acque dei mari causando ovunque cataclismi impressionanti.
Dall’esperienze di queste catastrofi sarebbero nati i numerosi miti del diluvio che sono giunti fino a noi. La versione più antica, in lingua sumerica, risale al terzo millennio a.C. Si tratta di racconti che tentano di spiegare il senso di questi cataclismi, riflessioni sapienziali che molti popoli hanno poi ripreso e rielaborato, adattandole alle loro concezioni religiose.
Secondo un’antica prassi liturgica di tipo allegorico, il diluvio universale viene visto come il grande battesino dell’umanità, che, uscita dal lavacro purificatore delle acque, diventa creatura nuova. 

1 Pietro 3, 18-22
L’acqua è il mezzo salvifico attraverso il quale i cristiani sono condotti al legno e ad esso indirizzati. Così col pensiero si ritorna all’”arca”. Qui ancor più che  simbolo della Chiesa, l’arca è simbolo  del legno salvifico della croce. Come Noè al tempo del diluvio si affidò a quel legno, ubbidendo a Dio, e fu salvato, così la nostra vita, attraverso l’acqua e l’obbedienza alla Parola, viene unita al legno redentore della croce  (Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti: 1 Pt 2,24).
Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi:  Pietro dice esplicitamente ciò che fino ad ora era nascosto da immagini e accenni. A lui non interessano gli avvenimenti del tempo di Noè, ma la realtà del battesimo: c’è una purificazione, che non è un lavacro esterno, ma un rinnovamento dell’intimo dell’uomo; a questo rinnovamento corrisponde,  un impegno di vita preso con Dio, l’impegno di vivere secondo una buona coscienza. 

Marco 1, 12-15
Diversamente da Matteo e da Luca, l’evangelista Marco racconta la tentazione di Gesù in modo estremamente succinto e spoglio. Pur tuttavia la terminologia usata rimanda esplicitamente al racconto della creazione nel libro della Genesi. Tutti i personaggi sono presenti: lo Spirito, Satana il tentatore, gli angeli e le bestie selvatiche.

Ma il giardino dell’Eden è diventato un deserto per via del peccato di Adamo. Il Figlio di Dio, il nuovo Adamo, portato dallo Spirito nel deserto, dove rimane a lungo (quaranta giorni sono un tempo pieno), rifà il cammino dell’uomo all’inverso e, respingendo la tentazione, inaugura il Regno predetto dal profeta Isaia, dove “il lupo dimorerà con l’agnello(Is.11,6) e con chiarezza ne indica la strada: la conversione continua.

Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni.
Lo Spirito continua a spingere nel deserto la Chiesa ed ognuno di noi.
Carlo Carretto nel 1954 disse: “Vado nel deserto per disintossicarmi da una vita nella quale non trovo più Dio”. E nel libro Lettere dal deserto racconta che laggiù ha ritrovato la forza di guardare le stelle, il cielo, il sole, un tramonto, il movimento della sabbia, un fiore … Ha ritrovato la sintonia col messaggio delle cose che è voce di Dio; soprattutto ha ritrovato la pace con se stesso, ritrovando la compagnia di Dio.
Allora dobbiamo andare tutti nel Sahara? Non è questo che Dio domanda a tutti, non è questo che Dio domanda a te. Ma ti chiede di creare momenti di silenzio nella casa, insieme e da solo, perché nel  “sussurro di una brezza leggera(1Re 19,12) tu possa riconoscere la voce di Dio. “Il silenzio – ci ricorda M.Delbrel – è presenza di Dio, non necessariamente assenza di gente”.
Lo Spirito che ha portato Gesù nel deserto ti spinge a trovare un po’ di deserto dentro di te, per non perdere l’appuntamento col kairòs, il tempo propizio della salvezza. Cercami in tediceva al mistico tedesco Silesius. E tu ascolta la voce di Dio che dalla Sacra Scrittura parla al tuo cuore.
E insieme diventa prossimo di chiunque tu incontri bisognoso di comprensione e di aiuto, nella certezza che “tutte le strade portano agli uomini” (A.de Saint-Exsupéry), ove Dio è di casa.


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L’arcobaleno dopo la tempesta era considerato dagli antichi ebrei come un simbolo della fondamentale e permanente alleanza fra Dio e la sua creazione. 
C’è questo arcobaleno nel cielo della tua vita?

San Pietro ci dice oggi:  quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi.
Viviamo la consapevolezza che, usciti da quest’acqua, siamo impegnati, proprio come battezzati,   in una esistenza nuova, che ci rende sempre più partecipi del piano divino della salvezza?

E che questo impegno ha come esigenza imprescindibile la conversione continua ?
E  che si tratta di un impegno concreto, ben situato nella storia e perciò seriamente proposto alla nostra vita, qualunque sia la concreta situazione esistenziale?  

Se il tempo è compiuto, non devi aspettare altre occasioni o avvisi più chiari nella tua vita. Oggi è il presente pieno di grazia di questo tempo che è cominciato (kairòs).  Nel cuore di Dio c’è un  desiderio cocente  che ti riguarda personalmente: “Se tu oggi ascoltassi  la mia voce!”.    Maria, alla cui cura materna siamo stati consegnati sul Calvario, ti supplica: “ Figlio mio, non indurire il cuore!   

Il regno di Dio è vicino, così vicino che è a portata della tua vita: non hai un cammino da fare, non hai da compiere ricerche; hai soltanto da aprire gli occhi per vedere, hai soltanto da spalancare la porta del cuore per farlo entrare.   Ma questo lo puoi fare solo tu. Ecco perché la parola del Signore sollecita la tua libertà.

Il termine più usato nella Sacra Scrittura per indicare la conversione [il verbo sub] , rende l’idea di cambiar strada, di ritornare, di invertire il cammino. Occorre, dunque,   un radicale ri-orientamento della vita, un  volgersi  a Dio con tutto il cuore, una rottura col peccato e un impegno serio di obbedienza amorosa alla Parola.  Cos’è, nella tua vita, che deve essere ri-orientato?

Tu, credi al Vangelo?  Il Vangelo illumina con chiarezza quali cambiamenti Dio domanda alla tua vita, perché la tua vita personale non sia in contrasto con la vita nuova che il battesimo ti ha donato: pensa  al perdono dei nemici, alla preghiera per i persecutori, alla gioia della partecipazione alla gioia di Cristo, all’amore che ti fa prossimo di ogni fratello bisognoso che tu incontri, ecc.

Pensa concretamente  quale cambiamento Dio maggiormente desidera nella tua vita.




- 15 febbraio 2015
Domenica VI b
Gesù purifica e calma lo spirito, 
si nasconde e attira l'uomo nella solitudine 
in cui Dio può essere raggiunto senza ambiguità

Levitico 13, 1-2.45-46 
“Libro dei leviti” – è una raccolta di leggi, che hanno questo tema di fondo: come comportarsi in modo adeguato alla presenza di Dio che è santo.
Per molto tempo la lebbra fu considerata un male incurabile, così grave che distrugge completamente l’uomo. Per questo la società costringeva i malati a distaccarsi dalla comunità, a non curarsi più, ma a gridare a quanti si avvicinavano: “impuro, impuro”.
Questa esclusione non era soltanto fisica; comportava un marchio di carattere morale.
 L’Antico Testamento considera spesso la lebbra come un castigo di Dio per il peccato.
La malattia era la “piaga” per eccellenza con cui Dio colpiva i peccatori (ecco la sesta piaga con cui Dio colpisce gli Egiziani: Esodo 9,9-11) ed era una impurità che interdiceva anche di partecipare al culto pubblico. Sul corpo dei lebbrosi le ulcere pustolose costituivano il marchio ignominioso del loro peccato e il segno che dovevano essere emarginati, in nome di Dio.
Ecco perché la legge fondamentale del popolo ebraico faceva del lebbroso uno “scomunicato”.
Il sacerdote – dice il Levitico - dopo averlo esaminato, dichiarerà quell’ uomo impuro (Lv.13,3).
I racconti evangelici degli incontri di Gesù con i lebbrosi vanno ben al di là della cronaca biografica, sono un messaggio in atto delle scelte di Dio: egli si accosta agli impuri e li tocca, perché nessuna delle sue creature è impura, tanto meno i suoi figli. Gesù ha scelto gli emarginati, coloro che erano rifiutati da tutti; per questo, divenuto egli stesso impuro, è stato scacciato dall’accampamento e messo a morte fuori della città santa, in un luogo immondo. Ora sappiamo da che parte sta Dio.
Dunque, devo provare disgusto per il peccato, ma, se rifiuto il peccatore, mi allontano da Dio.

1Cor.10, 31-11,1 
Una cosa in sé buona o indifferente può diventare cattiva se scandalizza il fratello. Il primo principio del cristianesimo è quello della interiore gioiosa libertà, perché il Cristo ha abbattuto ogni barriera legalistica (vedi, sopra, la impurità legale). Ma al di sopra di tutto, anche di questa mia libertà interiore, c’è il principio della carità che mi impegna ad astenermi anche da gesti in sé indifferenti (mangiare la carne immolata agli idoli) per non dare scandalo al fratello debole, per rispettare la coscienza (non la tua, ma quella del fratello).
La comunità cristiana non deve solo evitare gli scandali, ma anche diventare missionaria, per questo deve rispettare la vita di Gesù (2 Cor 4,10), il quale ha solo e sempre pensato agli altri. Scriverà ai Romani: Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso (Rom 15,2-3).

San Paolo – ecco il piccolo brano di oggi – insegna a vivere con semplicità la nostra giornata, in una prospettiva di fede (fate tutto per la gloria di Dio) e in una prospettiva di carità (non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio). Porta l’esperienza della sua vita (mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse, ma quello di molti) e ne indica il segreto esaltante (diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo).

Marco 1, 40-45
Gesù che, per misericordia, ha scavalcato la legge mosaica del Levitico, non per questo la cancella e chiede al lebbroso guarito di far costatare, come prescritto, la sua guarigione per ottenere dal sacerdote il certificato ufficiale di riammissione nella comunità. Il Signore vuole che viviamo nella concretezza della storia e sappiamo vivere la nostra libertà di figli di Dio nelle strutture della nostra società e inserendosi nelle tradizioni che caratterizzano la concreta vita comunitaria.
Gesù domanda a tutti noi, che vogliamo essere suoi discepoli, di continuare la sua “compassione” verso i “lebbrosi”. Il Papa Benedetto XVI il 10 ottobre 2009, in pazza San Pietro, ha canonizzato Padre Damiano de Veuster, il quale, prete e medico dei lebbrosi, nel 1873 si ritirò nell’isola di Molokai, dove il governo confinava i malati di lebbra togliendoli alle famiglie, dove P. Damiano liberò i lebbrosi dalla disperazione e dove morì, lebbroso, nel 1888.
I “lebbrosi”. Non solo quelli del terzo mondo, che Raul Follereau, per tanti anni ha presentato ai cristiani e al mondo per aiutarci a non essere, noi, i veri malati della lebbra dell’egoismo e della indifferenza. Ma anche e soprattutto quelli che ci vivono accanto - emarginati, anziani soli, barboni, malati di mente, confinati nei cronicari, drogati, accattoni, eccetera - che cerchiamo di evitare per paura di perdere la nostra quiete e la nostra libertà.
La parola è forte, ma non evitabile per un cristiano: in te Gesù vuol mostrare ancora la “sua compassione” verso di loro.

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Non capita anche a te di considerare persone emarginate – come accattoni, barboni, drogati, confinati nei cronicari, ecc. – come persone che pagano gli sbagli della loro vita, portandone le terribili conseguenze? Eppure, anche dinanzi ad un vero peccatore non devi giudicare, ma riflettere alle tue responsabilità e pregare per te e per lui.
Ancora: pensa a Gesù che “toccò” il lebbroso e chiediti se tu hai il coraggio di “toccarle” queste persone: con una buona parola, un sorriso,un gesto di carità, facendo per loro quello che rientra nelle tue possibilità e aiutando anche altri ad avere un atteggiamento che non contraddica l’insegnamento del nostro Gesù.

Se nella tua vita c’è qualcosa che ti corrode, se nel cuore porti qualche ferita ancora aperta o non ben rimarginata, se anche esteriormente c’è qualcosa che riconosci da correggere, hai il coraggio di andare fino ai piedi del Maestro per chiedere la guarigione di un male che hai sempre considerato inguaribile?  Diglielo con fede:Se vuoi, puoi purificarmi!”.
Gesù che, per misericordia verso il lebbroso, ha scavalcato la legge mosaica del Levitico, comanda al lebbroso guarito di osservare la legge mosaica del Levitico. È una contraddizione o una forma di incarnazione nel tempo?
Non ti pare che tutto questo insegna a vivere nella concretezza della storia e a saper esprimere la nostra libertà di figli di Dio nelle strutture della nostra società e inserendosi nelle tradizioni che caratterizzano la concreta vita comunitaria ?
“L’opera della evangelizzazione suppone nell’evangelizzatore un amore fraterno sempre crescente verso coloro che egli evangelizza. Un segno d amore sarà la cura di donare la verità e di introdurre nell’unità. Un segno di amore sarà parimenti dedicarsi senza riserve, né sotterfugi all’annuncio di Gesù Cristo … Aggiungiamo qualche altro segno di amore. Il primo è il rispetto della situazione religiosa e spirituale delle persone, rispetto del loro ritmo, che non si ha diritto di forzare oltre misura. Rispetto della loro coscienza e delle loro convinzioni, senza alcuna durezza.  Un altro segno è l’attenzione a non ferire l’altro, soprattutto se egli è debole nella fede, con affermazioni che possono essere chiare per gli iniziati, ma diventare per i fedeli fonte di turbamento e di scandalo, come una ferita nell’anima” (Esortazione apostolica di Papa Paolo VI, Evangelii nuntiandi,Evangelizzazione nel mondo contemporaneo, 1975, n.79).

È impensabile che uno sia toccato da Gesù in modo così personale e profondo, come è successo al lebbroso, senza diventare uno che testimonia ed annunzia la grazia ricevuta.





- 8 febbraio 2015
Domenica V b
Non lamentarti MAI  di Dio.
Puoi sempre lamentarti con Lui

Giobbe 7, 1-4.6-7 
Il libro di Giobbe, il cui autore scrive nel V secolo a.C., è una specie di grande parabola sul grande problema della sofferenza umana
Eppure, Giobbe, anche mentre si confronta appassionatamente con i tre amici, si rivolge a Dio direttamente con un grido: Ricordati!  E sarà proprio questolamentarsi con Dio più che lamentarsi di Dio”, sarà proprio questo parlare a Dio” più che “parlare di Dio che aprirà la strada all’altissima conclusione del libro.
Il pensiero giudaico ha cercato, spesso, di spiegare la sofferenza considerandola come il castigo per la colpa. Ma l’autore del libro di Giobbe rivela la inconsistenza di questo discorso che ha la pretesa di essere teologico, ma che in pratica scarta la difficoltà senza risolverla. Raccontando la storia del giusto che soffre, denuncia il carattere ingannatore di tutti tentativi umani per risolvere il problema: giustificare il male, tutto sommato, è impresa impossibile. Alla fine della sua riflessione Giobbe deve semplicemente riconoscere i limiti della nostra intelligenza e rimettersi con fiducia a Dio. Ma è proprio quando afferma con forza la sua confidenza in Dio, che Dio lo salverà. Purificato dalla prova, cessando di esigere spiegazioni dal suo Creatore, egli sfugge all’influenza del male ed è abbracciato dalla divina benevolenza.


1 Corinti 9, 16-19.22-23 
L’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto scrive che ha ricevuto da Dio l’incarico di annunziare il Vangelo: non è una sua iniziativa, non è un vanto, non è un motivo di pubblicità personale, ma un incarico che gli è stato affidato. Per mostrare a Dio la sua libera obbedienza può rinunciare ad una remunerazione meritata, ma niente lo libera dal rigoroso dovere d’impegnare se stesso in ogni modo (essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero).
Non viene lasciato fuori nessuno: l’apostolo si fa tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno, nella speranza certa di partecipare egli pure a quanto annuncia agli altri.

Marco 1, 29-39
Quante volte, anche fra di noi, può bastare un gesto, magari un sorriso, per aiutare qualcuno a sentirsi in famiglia, per dargli occasione di mettersi a disposizione! Questi miracoli facili possono fiorire nelle tue giornate, se come Paolo ti facessi tutto a tutti! 
C’è davvero da chiedere se Gesù non domandi ai sacerdoti – e ad ogni consacrato, ad ogni battezzato – di essere segno di Lui che continua a chinarsi sui sofferenti e sui malati avendo la parola, il gesto, la passione che traducono questo amore. E’ una buona notizia che non si proclama da pulpiti privilegiati o dai microfoni dei nostri altari, ma si porta corpo a corpo con il male che incontriamo.
La totalità è alla radice della fede: abbraccia tutti, abbraccia tutto.
Essere discepoli è rimettersi sempre in strada, perché Lui, il Maestro, sempre ci precede in Galilea (Mt.28,7s), in quella Galilea delle genti che è il mondo (Mc.16,15).

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Occorre imparare a distinguere nella nostra vita la lamentazione dalla lamentela. La lamentela è molto comune, perché ci lamentiamo un po’ di tutto e ciascuno si lamenta degli altri: è difficile che in ambienti religiosi, sociali e politici non si senta parlare male degli altri. Si è perso il senso della lamentazione che consiste nel piangere davanti a Dio. Aprire la vena della lamentazione è il modo più efficace per chiudere i filoni delle lamentele che intristiscono il mondo, la società, la realtà della Chiesa e che sono senza uscita perché, essendo vissute a livello puramente umano, non giungono al fondo del problema.

Se scopri in te qualche radice di frustrazione, se temi che le tue azioni siano prive di senso, e magari hai anche paura a riconoscerlo, cerca di dirlo a Dio attraverso la forma della lamentazione. 

 ...farti tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
Chi non ascolta e non s’impegna a far crescere questa parola nella propria vita, come risponde a Colui che ci ha amato fino alla fine (Gv 13,1) e dice per tutti: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi (Gv 15,12)?
Senza rendersene conto costui fa sue le parole di Caino: Sono forse io il custode di mio fratello?  Gen 4,9).

... essere utile a qualcuno può ridare senso alla vita.  
Come può bastare un gesto, magari un sorriso, per aiutare qualcuno a sentirsi in famiglia o per dargli occasione e coraggio di mettersi a disposizione. Questi sono miracoli facili che possono fiorire anche nelle tue giornate! 

... la parola di Gesù “ Andiamocene altrove per i villaggi vicini “, per scuoterti da una situazione di stallo o spingerti a guardare oltre il giardino di casa?

Gesù è il Verbo, la Parola: Non si può chiudere il Cristo e il suo Evangelo in un “sapere” (“io so chi tu sei”, dice nella sinagoga un uomo posseduto dallo spirito impuro: Mc.1,23-24).
Credere non è isolare una definizione esatta di Gesù, ma aderire alla sua Persona mettendosi nella sua logica, che è la via della croce, cioè del donare la vita per amore.
Il Vangelo non si riassume in una dottrina appresa che si rigurgita: è un cammino che apre ad un regno altrove, e che va di villaggio in villaggio, da uomo ad uomo, da Dio all’uomo, sulle orme di Gesù.




- 25 gennaio 2015
Domenica III b
E' impressionante pensare che anche oggi Gesù continua a passare fra noi e vede e chiama.
Renditene conto e ricorda quel "subito" dei fratelli Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni.

“Giona non è solo Israele, è chiunque immagini ancora Dio come un giustiziere, è chiunque coltivi la segreta speranza di assistere un giorno alla punizione dei malvagi, è chiunque non abbia capito che non esistono nemici da sconfiggere, ma solo fratelli da amare e da aiutare..." 
(Fernado Armellini, Ascoltarti è una festa, Edizioni Messaggero Padova 2002).


Paolo sembra prendere un po’ le distanze da questo movimento di entusiasmo impaziente. Parla, sì, della brevità del tempo, ma più che indicare l’attesa prossima della parusia (ritorno glorioso), vuole ricordarci il carattere generale del tempo terreno. Esso, di suo, è così impellente e veloce che non si può dimorare in esso in pace e senza affanni. Il Vangelo ri-orienta la nostra esistenza nel tempo in modo fondamentale: quelli che hanno moglie , vivano come se non l’avessero; quelli che piangono come se non piangessero; quelli che gioiscono come se non gioissero; quelli che comprano come se non comprassero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente.
“Il tempo ci è prestato soltanto con possibilità di revoca in ogni momento” (von Balthasar).
Le attività umane devono essere non svalorizzate, ma relativizzate in funzione della sola realtà veramente urgente e definitiva.
Come tutte le cose belle, anche il matrimonio, la famiglia, i beni terreni possono sedurre e mutarsi in assoluti. Divenuti idoli, assorbono in modo totale ed esclusivo il cuore dell’uomo e gli fanno perdere il senso della vita.


Con questo termine [VANGELO] noi intendiamo un libro. Al tempo di Gesù significava soltanto BUONA NOTIZIA. Erano chiamati “vangeli” tutti gli annunzi lieti: una vittoria militare, la guarigione da una malattia, la nascita di un imperatore, la sua ascesa al trono o la sua visita ad una città, ecc.
Convertitevi e credete al Vangelo: convertirsi vuol dire ascoltare e mettere in pratica la Parola...
In Israele erano i discepoli a scegliersi il maestro. Cristo è una novità: è Lui che sceglie i discepoli. Forse quei pescatori lo hanno già incontrato e lo hanno sentito parlare.  Ma oggi Gesù passa, li sceglie e li chiama. Lungo il Giordano dove Giovanni era a battezzare sono i discepoli che lo cercano e gli vanno dietro. Qui, nel quotidiano del mare della Galilea (Simone e Andrea gettavano le reti; Giacomo e Giovanni sulla barca riassettavano le reti), è Gesù che passa, vede e chiama.
Andando un poco oltre è arrivato ad oggi, è arrivato a te.  E ti sorprende nella normalità della vita, ti chiama ed aspetta subito la risposta. Non dire: “Ripassa domani”. Perché tu non sai se Gesù che passa oggi, ripasserà anche domani.
Da qui nasce la missione: “chi è stato evangelizzato a sua volta evangelizza. Qui è la prova della verità, la pietra di paragone della evangelizzazione: è impensabile che un uomo abbia accolto la Parola e si sia dato al Regno, senza diventare uno che a sua volta testimonia e annunzia” (Paolo VI, enciclica Evangelii Nuntiandi  1975, n.24).


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Può darsi che anche in mezzo a noi ci sia qualcuno che ha il cuore del profeta Giona prima della correzione divina: un cuore che coltiva la segreta speranza di vedere i nemici sconfitti e puniti.
Se Gesù ha chiesto che fossero perdonati i suoi crocifissori (Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno! Lc 23,34), se Egli, come dichiariamo nella professione di fede, “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo … fu crocifisso, morì e fu sepolto e il terzo giorno è risuscitato e salito al cielo”, non dovremmo, tutti quanti noi cristiani, considerare gli altri come fratelli da amare...

Le parole dell’Apostolo il tempo si è fatto breve” e l’esperienza personale che “passa la figura di questo  mondo” fanno nascere in te il disprezzo per le realtà di questo mondo od anche tristezza e paura per la precarietà delle cose?  stimolano l’impegno ad approfittare del tempo presente, ma con quella libertà interiore e esteriore che è suggerita dalla provvisorietà di questa vita terrena?
Non c’è il rischio che tu consideri come assoluti i valori relativi della tua persona, della tua vita, del tuo mondo?

Cristo è una novità: è Lui che sceglie i discepoli. Lui che anche oggi passa, vede, chiama.
Ti sorprende nella normalità della vita, ti chiama ed aspetta subito la risposta
C’è anche nella tua vita questa urgenza: pensi che quel subito non ti riguardi?

Andando un poco oltre, vide Giacomo e Giovanni suo fratello …
Gesù ha continuato ad andare un poco oltre ed ha chiamato Mattia (al posto di Giuda), e poi Stefano diacono, e poi Saul-Paolo … Andando un poco oltre, quante persone, uomini e donne, ha visto e chiamato!  Il suo cammino non si ferma ed ora vede anche te … Non aver paura, fai come Andrea e domandagli: Maestro, dove abiti?
Lui – che abita la sua parola, la santissima Eucaristia, la tua famiglia, la comunità a cui appartieni, ogni persona che tu incontri soprattutto se bisognosa, il profondo del tuo cuore – ti dice, come già ad Andrea e l’altro discepolo: Venite e vedrete!
Abbi il coraggio di muoverti.
Quale passo il Signore ti sta chiedendo, in questo momento?




- 18 gennaio 2015
Domenica II b
Tu vivi ancora nell'atteggiamento di chi cerca qualcosa o, meglio, Qualcuno?
Oppure ti sei rassegnato a non cercare più e vai avanti per forza d'inerzia?

1 Samuele 3, 3-10.19 
La vocazione di Samuele avviene di notte, quando tutto tace e non ci sono rumori che confondono o ricoprono la voce sottile del Signore.  Dio lo chiama mentre dorme e lo chiama sempre per nome, secondo l’esperienza del profeta  [”Fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome”  (Isaia 49,1)].
(Samuele rispose: “Eccomi”, poi corse da Eli), ma ancora cieca e deludente. Sarà solo alla quarta volta, dopo tre fallimenti e con l’aiuto di Eli, che Samuele scoprirà la voce di Dio.  
Samuele inizia ora il cammino esatto della sua vita, un cammino in cui tutto è prezioso e decisivo, perché il Signore era con lui.  E Samuele rispondeva all’impegno di questa missione non lasciando andare a vuoto una sola delle sue parole.  Ogni missione, anche la nostra pur piccola e limitata,  ha proprio in questo il suo marchio di garanzia.

L’appello di Paolo alla riscoperta della purezza della vocazione cristiana (glorificate Dio nel vostro corpo) ha il suo miglior commento – dice il biblista Gianfranco Ravasi – in Romani 12,1: Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”.

“Dio, anche tu avevi bisogno di un corpo: senza corpo non c’è rivelazione.
È il corpo la visibilità della luce: noi siamo il corpo vivente di tutto il creato,
e tu sei Parola che si fa in noi   continuamente corpo:
Signore, che tutta l’umanità sia il tuo grande corpo,
e il cuore di ognuno sia il luogo   dove più ami abitare, nasconderti e insieme rivelarti. 
Amen”. 
P. David M. Turoldo


La vocazione è incorniciata nella semplicità delle opere, dei giorni, dei luoghi che ci vedono attori delle nostre piccole vicende umane:videro dove egli dimorava”, “erano circa le quattro del pomeriggio”, Andrea “incontrò per primo suo fratello Simone”, “lo condusse da Gesù”.
“Che cosa cercate?”. Fai attenzione al gioco degli occhi: si voltò e, osservando che essi lo seguivano. Anche il Battista, “fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: Ecco l’Agnello di Dio”. Ad Andrea e all’altro anonimo compagno Gesù disse: “Venite e vedrete”. Quando Gesù ebbe dinanzi Simone condotto dal fratello Andrea, fissando lo sguardo su di lui, disse:“Tu sei Simone, il figlio di Giovanni...
Un dato presente in questa pagina di Giovanni e nella vocazione di Samuele: per giungere a scoprire la propria vocazione è prezioso l’aiuto di una presenza fraterna, un amico, un accompagnatore spirituale. Il sacerdote Eli lo è per Samuele; il Battista lo è per Andrea e l’altro discepolo; Andrea lo è per il fratello Simone. È anche la tua esperienza?

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Dio può chiamare in ogni momento; tu ne percepisci più facilmente la voce se ti metti solo dinanzi a Lui e ti impegni a fare silenzio anche dentro di te, allontanando il rumore e le chiacchiere, la ricerca dell’interesse e la preoccupazione di te stesso.

Hai il coraggio di chiedere al Signore, come i due del Vangelo di Giovanni: “Rabbì, dove dimori? ” e trovare così un po’ di tempo e di calma per stare seduto ai suoi piedi ad ascoltarlo o per dirgli qualche parola che ti esca dal cuore od anche semplicemente guardarlo con gli occhi del cuore  e dentro di te sentir fiorire la gioia, la speranza, il rendimento di grazie?

C’è nella tua vita qualcuno (un confidente più maturo, un sacerdote, un amico, una persona di fede) con cui confrontarti, che ti possa aiutare a trovare la tua strada e realizzare il tuo cammino?




- 11 gennaio 2015
Domenica del Battesimo del Signore

Isaia 55, 1-11
È meraviglioso constatare questa abbondanza di grazia per tutti: come la pioggia e la neve che scendono dal cielo. Anche l’empio, l’uomo iniquo troveranno misericordia, riceveranno larghezza di perdono. Il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta (42,1): c’è speranza per tutti.

Giovanni 1. 5-9
... l’impegno dell’agape. Questo termine ricorre ben cinque volte in pochi righi, o come verbo o come sostantivo (vedi sopra).  Agàpe” [amore] è un amore “verticale”, che sale verso il Padre (Colui che ha generato), ma è anche un amore “orizzontale”, che abbraccia tutti i fratelli della famiglia (chi da lui è stato generato … i figli di Dio).
L’amore – sottolinea l’apostolo – non è un sentimentalismo, ma una cosa molto concreta: In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’ osservare i suoi comandamenti; e chi vi si impegna fa una scoperta rasserenante: i suoi comandamenti non sono gravosi.
Il battezzato è per eccellenza l’uomo che è amato e che, in risposta, a sua volta, ama.

Marco 1, 7-11
Il Battista annuncia l’arrivo di colui che è più forte: non solo più forte di lui, Giovanni,   che riconosce di non essere degno di chinarsi per slegare i legacci dei suoi sandali, ma più forte anche del “grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana, che seduce tutta la terra 

... il cuore del racconto è nella solenne proclamazione divina: Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

Oggi, dunque, celebriamo la grande svolta della vita di ogni credente: occasione privilegiata per riflettere sul nostro Battesimo. Non semplice battesimo di penitenza, simbolo presente anche in altre religioni, ma sacramento, il primo necessario sacramento. Attraverso il segno dell’acqua e le parole liturgiche, il Battesimo cristiano realizza  l’immersione nella morte di Cristo per riemergere nella sua risurrezione. 

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... ricevuta da noi come singolare privilegio attraverso il battesimo, non ha nulla a che vedere con l’esclusivismo, il particolarismo, la separazione. Quando Dio sceglie una persona o un popolo, lo fa solo per affidargli una missione, per chiedergli un servizio in favore di altri.

Questo tempo nel quale ora siamo e le circostanze precise della tua vita, il luogo e la situazione di rapporti che stai vivendo sono “il momento e l’oradella tua risposta a Dio.  Non rimandare.

Il sogno di Dio per ciascuno di noi è che noi diventiamo sempre più “FIGLI NEL FIGLIO” (Ef 1, 3-14).
Il tuo sogno è che il Padre non solo ti dica, per il bene che ti vuole: “Figlio amato”, ma  che la tua somiglianza a Gesù   provochi anche il suo compiacimento (in te ho posto il mio compiacimento).




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